La presentazione di Claudia sulla vita e sulle opere di Artemisia Gentileschi è stata informata dal lavoro, dagli studi e dal catalogo dei curatori della mostra del 2020 alla National Gallery. Qui facciamo una scelta ristretta dal ricco commentario del discorso.
Nata a Roma nel 1593, figlia dell’artista Orazio Gentileschi, Artemisia si dedica precocemente alla pittura con l’Autoritratto dell’allegoria della pittura (1608-09). In Susanna e i vecchioni (1610) si possono identificare due temi centrali nel suo lavoro – raffigura il corpo femminile in modo naturalistico, non idealizzato, con carne da toccare; è influenzata da altri artisti– ad es. il gesto della mano di Susanna richiama quello michelangiolesco di Adamo. Il secondo tema si impernia sulle storie di donne forti sconfittte, che trovano modo di riscattarsi.
Nel 1611-12 succedono il notorio stupro e il processo che coinvolgono Artemisia e l’artista Agostino Tassi. Il verbale del processo, incluso nella mostra, dimostra che tutto quello che Artemisia dipinge è il risultato del processo, in particolare il tema delle donne che uccidono gli uomini.
Sposatasi con l’artista Stiattesi, Artemisia si trasferisce a Firenze (1612-1620), dove la sua elezione come prima donna all’Accademia del disegno attesta il suo prestigio. La tela Giuditta con la sua ancella (1612-13) e la seconda versione dell’argomento (1623-25) raffigurano il momento di improvvisa paura dopo l’uccisone di Oloferne quando le donne temono di esser state udite. Le forti luci e ombre della seconda versione richiamano Caravaggio. Un’interpretazione più violenta della stessa storia si trova in Giuditta decapita Oloferne (1612-13) in cui l’azione di due donne forti (con l’ancella pure partecipe) e il sangue che schizza sul vestito di Giuditta inorridisce lo spettatore.
Tra i tanti bellissimi autoritratti che seminano la carriera di Artemisia, Claudia ha ‘chiuso il circolo’ con l’audace l’Autoritratto come allegoria della pittura dipinto a Londra 1638-39.
Grazie Claudia di una presentazione affascinante.